1ª ELEMENTARE – C’ERA UNA VOLTA IL SUSSIDIARIO

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Dove è finito il libro digitale? Ne parliamo con il sociologo e docente universitario Francesco Pira

Abbiamo intercettato oggi, in un negozio, una mamma che stava comprando un carrellino che permettesse al figlio iscritto alla 1ª elementare di poggiare e trascinare comodamente lo zaino stracolmo di libri anziché portarselo sulle spalle.

Mediamente, ci riferisce la mamma, lo zaino pesa intorno a 5/7 kg ma riesce ad arrivare anche a 10 kg nei giorni “caldi”.

Certo è che nell’era del metaverso, dei ragazzi della Generazione Alpha che con uno smartphone o un tablet fanno cose impensabili per noi boomer, leggere di una dotazione richiesta a un bimbo di 1ª elementare di 15 libri fa un po’ sorridere. Ma l’argomento è molto serio e c’è veramente poco da sorridere.

Ci verrebbe da pensare che il business dei libri stampati è più forte della prevenzione sanitaria e della salute dei nostri figli. Un business attorno al quale girano evidentemente soldi e potere. Un business scorretto, che è sotto gli occhi di tutti, ma che tutti accettano con ossequioso ma colpevole silenzio, quando non con connivenza. Quel business che pretende il cambio di libri di testo ogni anno per dei non meglio identificati aggiornamenti e che, con la collaborazione silente di molte scuole, continua a proliferare.

Il dato certo è la scomparsa di ogni traccia dei testi digitali, da poter consultare su un comodissimo e leggerissimo tablet, che permetterebbero una lettura ed un conseguente apprendimento multimediale, multitasking come si usava dire ai miei tempi.

Una scelta di affossare l’editoria scolastica digitale incomprensibile e che va contro, invece, alla presenza in aula di computer e lavagne multimediali sempre più performanti.

Poi, però, organizziamo convegni, magari finanziati dalle stesse case editrici, per interrogarci sulle scoliosi infantili, sui deficit muscolo/scheletrici dei bambini e sulla scuola che non riesce a stare al passo con i tempi.

Ma vogliamo essere ottimisti e cercare altre motivazioni che spieghino questo ritardo.

Abbiamo provato a capirne di più parlandone con Francesco Pira, associato di sociologia, Direttore del Master in Esperto della Comunicazione Digitale e Delegato del Rettore alla Comunicazione dell’Università degli Studi di Messina, coordinatore per l’Italia del Progetto di ricerca Europeo OIR che studia una nuova didattica utilizzando le nuove tecnologie per supportare alunni e studenti diversamente abili. Il progetto è coordinato dall’Università di Lublino (Polonia) e vede impegnate le Università di Oviedo (Spagna) e di Messina (Italia).

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Francesco Pira

– Prof. Pira, perché la scuola non riesce a completare la transizione verso il libro digitale?

«Oggi, la scuola deve fare i conti con i nuovi bisogni della didattica. La pandemia ha evidenziato diverse criticità e la DAD ha sottolineato le problematiche legate all’utilizzo delle nuove tecnologie. Non tutte le scuole erano preparate a fronteggiare la DAD e la DDI.

Purtroppo, non basta puntare al digitale. Le scuole dovrebbero essere dotate di un certo numero di pc e tablet. La rete ha bisogno di controllo e manutenzione. Le riforme del Ministero dell’Istruzione vanno accompagnate al sostegno concreto dei docenti e degli alunni, attraverso una formazione costante e corretto dei dispositivi. L’impatto sull’approccio didattico deve essere guidato per riuscire a raggiungere gli obiettivi del PNSD (Piano Nazionale Scuola Digitale).

L’uso non adeguato degli strumenti tecnologici può comportare grossi rischi e pericoli. Certamente, la scuola deve vigilare e controllare.

Servono investimenti sugli edifici e sulle apparecchiature presenti nelle scuole. In alcuni istituti la rete Wifi non è stata potenziata oppure non c’è la Lavagna Interattiva Multimediale. Inoltre, esiste il problema della gestione delle risorse che vanno adeguatamente gestite e i fondi devono essere spesi in modo corretto.

L’innovazione è frenata dalla situazione infrastrutturale e questo è innegabile. L’indice complessivo DESI 2018 (Digital Economy and Society Index), che controlla il livello di attuazione dell’Agenda Digitale da parte dei singoli stati membri, ci dimostra che l’Italia occupa il 25° posto su 28 paesi. Dati che ci dicono che solo una struttura digitale che funziona può permettere il completamento del processo di digitalizzazione.

Nel mese di ottobre 2019 è stata condotta una ricerca dall’osservatorio Aie-Miur (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e ha attestato che l’utilizzo dei libri digitali tra gli studenti è scarso. I numeri sono stati riportati dal portale Tecnica della Scuola che ha approfondito le percentuali. Negli ultimi cinque anni l’adozione del libro misto (parte cartacea e parte digitale, seguita da contenuti digitali integrativi) è passata dal 70% al 92%, e invece il libro di testo completamente digitale è rimasto fermo all’1%. Ma non solo. “Appena il 5,3% dei libri digitali viene attivato dagli allievi. Anche quando questo accade, di media l’accesso è inferiore alle sei volte in un anno scolastico. Nonostante il 74,6% dei docenti utilizzi almeno una volta alla settimana il digitale nella didattica, i dati evidenziano che solo una piccola parte degli studenti usufruisce realmente dei contenuti digitali per studiare.»

– Quindi è anche un problema strutturale oltre che culturale?

«I report ci dimostrano che in Finlandia l’85 per cento delle scuole ha abbandonato il manuale cartaceo, ma in Italia il passaggio dal cartaceo al digitale è molto più lento.

Riuscire a far viaggiare insieme il libro di carta e il libro digitale – ci dice ancora Francesco Pira non è semplice. Diverse inchieste ci dicono che i ragazzi hanno ancora la necessità di avere dei riferimenti sulla pagina per riuscire ad apprendere meglio. In molti lamentano che continuare a “scrollare” sullo schermo faccia perdere i riferimenti spaziali e di fatto anche la concentrazione«.

«Non si può negare – conclude Pira – che siamo di fronte ad una società fatta da altri codici e da altri linguaggi. Dobbiamo viverla e capire come salvaguardare alcuni valori essenziali, legati al rispetto della conoscenza e della competenza. Non c’è un passaggio certo dal cartaceo al multimediale. Pertanto, la digitalizzazione completa del sistema scolastico tarda ad arrivare. Nel frattempo, puntiamo alla formazione e a dare valore alla scuola che deve istruire gli uomini e le donne di domani».

In attesa dunque che la scuola riesca a mettersi al passo e adegui le proprie infrastrutture alla ormai inarrestabile transizione verso il digitale, riuscendo altresì a liberarsi dell’egemonia delle case editrici, meglio attuare una vera rivoluzione culturale, di quelle efficaci e radicali: torniamo al sussidiario.