IL PROF DEI SOGNI È SICILIANO!

Il ritorno di D’Avenia, dopo 10 anni, a romanzare sui giovani

Alessandro D’Avenia, sicilianissimo, nasce il 2 maggio del 1977 a Palermo e vi resta fino alla maturità classica; durante il Liceo è il professore di religione ad avere una notevole influenza su di lui: Padre Pino Puglisi. Laureato in lettere classiche a Roma, D’Avenia fin da giovane si appassiona alla scrittura, al cinema e al teatro, dove sperimenta le sue prime produzioni.

È uno scrittore, sceneggiatore, giornalista, insegnante di grande efficacia ed anche blogger (Prof 2.0 è il suo blog). Per la sua dote di sapere coinvolgere i lettori, giovani e non, all’arte e alla letteratura, D’Avenia è uno dei professori più amati d’Italia, di quelli che tutti vogliamo, o avremmo voluto avere.

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Alessandro D’Avenia – Foto: Associazione Amici di Piero Chiara
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Il suo primo romanzo diventa da subito un caso editoriale di straordinario successo: Bianca come il latte, rossa come il sangue, pubblicato nel 2010, che racconta una storia d’amore intrecciata ad una terribile malattia, la leucemia, una vicenda che afferra i cuori dei lettori italiani e internazionali. Il libro viene infatti tradotto in 22 lingue e vende 1 milione di copie solo nel 2017, e da esso viene tratto anche un film.

D’Avenia prosegue la sua fortunata attività con Cose che nessuno sa (2011), Ciò che inferno non è (2014) e L’arte di essere fragili (2016), Ogni storia è una storia d’amore (2017).

L’ultimo libro, nel 2020, L’appello, edito come tutti i suoi lavori precedenti da Mondadori, vede D’Avenia tornare a scrivere un romanzo parlando della scuola e dei ragazzi, un mondo che ben conosce. Il protagonista è un professore di scienze, Omero Romeo, che, come il suo epico omonimo, era diventato cieco, chiamato a prendere in carico una quinta liceo la cui precedente insegnante era improvvisamente venuta a mancare. Una classe della quale quest’ultima aveva detto, con metafora sonora, che “canta una infelicità corale”, a cui ciascuno partecipa con un timbro inconfondibile. Sicuramente una classe problematica che, però, non spaventa il professore; lui stesso ha imparato a conoscere il mondo, da quando è diventato cieco, servendosi degli altri sensi: udito, tatto, odorato, gusto. Ed è proprio così che, il primo giorno di lezione, entra in contatto con la sua nuova classe: «commenti sussurrati urtano contro le pareti e mi aiutano a capire esattamente come si dispongono i corpi nell’aula, il loro odore si mescola a quello di alcol e vernice, e a poco a poco lo sovrasta in un ventaglio di profumo, sudore, attesa, seduzione, fragranza, abbandono, amarezza e tutti gli odori di corpi in fermento come l’uva a settembre. Accarezzo il registro aperto con i polpastrelli fino a sentire i nomi scritti a mano nella colonna di sinistra, come se potessi impararli a memoria toccandoli».

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Omero si rende protagonista di un metodo di insegnamento non convenzionale, criticato dai colleghi e genitori, ma che permette a noi lettori di capire la metodica di percezione del mondo da parte di un non vedente mettendo al centro l’alunno trattato come essere con un cuore puro. La storia si articola, per molti versi, come una sorta di “Attimo fuggente”, famoso film con Robin Williams: gli studenti, affascinati dal nuovo professore, entrano in contrasto con la scuola tradizionale, tra note disciplinari e richiami dal preside che li invita a non perdere tempo e a concentrarsi sul programma, sullo studio e sulla maturità che li attende alla fine dell’anno.

Quando cercano di diffondere la pratica dell’appello, che dà il titolo al romanzo, in tutta la scuola, tramite un’iniziativa che vorrebbe essere festosa e nel contempo “sovversiva”, la cosa sfugge di mano, un professore finisce con il naso rotto, e una folla di giornalisti e genitori intasa le linee telefoniche della scuola. Una vera “rivoluzione “ che non si arresta uscendo dalla scuola per raggiungere altre scuole ed altri istituti, fino a che i ragazzi non sono invitati a incontrare il Ministro e l’appello non diventa la prima notizia di tutti i telegiornali. Arriva infine luglio e con esso la fine di tutto e l’esame di maturità. Essa non è un semplice, punto di arrivo nelle vite dei ragazzi, ma al contrario un punto di partenza, e di cui poco rimane da dire: «dei voti, come di quasi tutte le nostre imprese sopravvalutate, non si ricorderà nessuno, se non il nostro ego». Ciò che invece ha avuto importanza, per il professor Romeo come per gli studenti, è stato «aver custodito i loro nomi, nient’altro, perché ogni nome che salviamo è un pezzo di mondo che salviamo».

Proprio nella nostra società attuale, genitori, politici, insegnanti, dovrebbero probabilmente iniziare a concedere più tempo ai ragazzi per raccontarsi, per spiegarsi, poiché, come scrive D’Avenia nell’epilogo, «in questi anni sono loro che mi hanno costretto, a volte in modo doloroso, a guardare dove io non sapevo o non volevo guardare, perché avevo le mie idee, le mie convinzioni, le mie ipocrisie».

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Alessandro D’Avenia e Sara Magnoli – Foto: Associazione Amici di Piero Chiara

Un romanzo sulla scuola e sugli adolescenti in un periodo come questo in cui della scuola si parla continuamente, ma in cui gli alunni, con le loro necessità e i loro desideri, spesso vere e proprie grida, restano davvero inascoltati per finire agli onori della cronaca solo in occasione della manifestazione del loro disagio.