SOCIAL E CHIESA: UN CONNUBIO POSSIBILE?

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Gli “Apostoli di Dio 2.0” tra Sacro e profano: ma è sempre un’efficace comunicazione Evangelica?

Negli ultimi anni il rapporto tra nuove tecnologie e chiesa sta vivendo un significativo sodalizio. L’immagine di una Chiesa dallo spirito ortodosso, ancorata a tradizioni e rituali millenari, sta lasciando spazio ad una Chiesa molto più al passo con i tempi, che non vuole restare indietro mentre il resto del mondo avanza verso il progresso tecnologico.

Lo stesso Papa Francesco ha ben compreso che i nuovi media sono strumenti efficaci per diffondere la Parola di Dio.

Il Papa è presente su Facebook, su Instagram e su Twitter, dove può vantare migliaia di fan in tutto il mondo. Un vero influencer, altro che Ferragni! Il Pontefice è il vero perno su cui sta ruotando il cambiamento. Famoso per le sue battaglie e per le sue prese di posizione che stanno in qualche modo segnando un’epoca nella storia della religione (tra tutte la sua totale apertura verso gli omosessuali, la solidarietà e le opere di bene fatte per i migranti) Francesco ha creato consenso e clamore attorno a sé dimostrandosi un vero rivoluzionario.

Il Papa infatti condivide sui social informazioni riguardanti le attività della Chiesa, pensieri e stati d’animo sulle questioni che ha più a cuore, passi della Bibbia e foto che ritraggono le opere di carità e le iniziative della Chiesa nel mondo.

I social per il Pontefice sono un ottimo strumento per evangelizzare, proprio per questo motivo andiamo incontro ai “discepoli 2.0”.

Attualmente buona parte dell'”esercito” di di Dio , chi più chi meno, tra suore, sacerdoti Diocesani, o ordini religiosi hanno almeno un account in qualche canale social. Ma troppi di loro hanno perso il concetto di Papa Francesco, di una sana e costruttiva comunicazione evangelizzatrice, utilizzando il loro tempo condividendo link o citazioni di basso livello, o lasciando commenti poco trasparenti per il gusto di creare “zizzania”.

I social network rendono possibile il comunicare in modo veramente istantaneo con un bacino di utenti amplissimo, che non conosce limiti di età o di distanza geografica: un post viaggia veloce, azzerando le distanze, e nel momento in cui si “etichetta” come “farisei 2.0” chi utilizza i social, il ministro di Dio sta giudicando ma, al contempo, anche se stesso che utilizza questa nuova tecnologia.

Ovvio che non è il mezzo, ma più che altro, come lo si usa.

Sembra che, tra politici che diventano tiktoker per catturarsi le simpatie dei più giovani, molti dei ministri di Dio sono messi peggio. Leggere le citazione della Sacra Scrittura cambiata, quasi “scimmiottata”, utilizzando termini moderni non è una sana comunicazione. È predicare bene e razzolare male, è, quasi quasi, una blasfemia: in più è perdere la loro credibilità. Uguale al sacerdote che su tiktok balla e canta hit del momento in abito Sacro. È il modo discutibile per riuscire a richiamare a sé i giovani. Ma domanda rivolta a tutti voi è:

“Cosa ne pensi della Chiesa sui social network?”

Questo è un quesito abbastanza tagliente, almeno per le generazioni cresciute con un certo tipo di educazione. Ciò che bisogna sottolineare è che: la chiesa ha la responsabilità delle anime, coltivare il rapporto con Dio e accrescere il loro essere. Le “pecorelle” non vanno adescate ma conquistate, usando accortezza nella parola di Dio. È un campo minato, i rischi sono molteplici: chi è credente trova un punto di riferimento ufficiale, chi è in bilico è esposto al messaggio della Chiesa, chi non è credente può criticarlo, e in questo modo contribuire a diffondere il messaggio, o, in ogni caso, a definirlo, a consolidarlo.

Intervistando i giovani e gli adulti chiedendo di esprimere il loro pensiero su come la Chiesa dovrebbe rapportarsi con il mondo dei social network, le opinioni sono abbastanza discordanti, e i pareri vanno da un estremo all’altro: da “La Chiesa deve inevitabilmente inserirsi meglio in tale contesto” a “la Chiesa dovrebbe continuare a utilizzare i canali di comunicazione tradizionali, i social non sono il suo campo”. Ma la cosa più importante è che molti, di varie età, si indignano sul fatto che, a livello locale, i social media sono mal usati: “ma un sacerdote si esprime così?”. Ovviamente, tra i giovani c’è chi preferirebbe una comunicazione tramite i social per segnalare degli eventi o per dare qualche spunto di riflessione, ma anche chi non vede la necessità di utilizzo di tali canali informativi.

Parecchi pareri in contrasto, ed è proprio per questo che ci vuole una formazione affinché si possa utilizzare questo nuovo ambiente che serve tanto alla missione della Chiesa, perché «la Chiesa non può non abbracciare la cultura e la comunicazione digitale, visto che parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo significa, infatti, entrare nello scenario digitale perché esso è abitato proprio dagli uomini, riflette, quindi anche le istanze di fede ed esprime l’intelligenza umana» (Alessandro Palermo, La Chiesa mediale. Sfida, strutture, prassi per la comunicazione digitale, Paoline, Milano).

Adesso, a distanza di anni, è più chiaro l’invito che Benedetto XVI rivolgeva nel 2010 tramite il messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: «Lo sviluppo delle nuove tecnologie e, nella sua dimensione complessiva, tutto il mondo digitale rappresentano una grande risorsa per l’umanità nel suo insieme e per l’uomo nella singolarità del suo essere e uno stimolo per il confronto e il dialogo. Nessuna strada, infatti, può e deve essere preclusa a chi, nel nome del Cristo risorto, si impegna a farsi sempre più prossimo all’uomo. I nuovi media, pertanto, offrono innanzitutto ai Presbiteri prospettive sempre nuove e pastoralmente sconfinate, che li sollecitano a valorizzare la dimensione universale della Chiesa, per una comunione vasta e concreta».