Quel Pasolini complesso e struggente raccontato da Elio Gimbo

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“Atto impuro” prosegue le repliche fino a domani 28 agosto dopo la “prima” al Castello Ursino di Catania nell’ambito del Catania Summer Fest

Nella sede del Centro teatrale Fabbricateatro va in scena fino a domani ”Atto impuro”, già presente all’interno della programmazione del Catania Summer Fest 2022 promosso dal Comune di Catania. Lo spettacolo, che aveva già debuttato giorno 4 agosto nella Corte del Castello Ursino di Catania, in piazza Federico di Svevia, ha avuto stavolta come scenario il suggestivo il giardino dedicato alla memoria del giornalista antimafia Pippo Fava. Ed è in questo stesso spazio aperto che il pubblico ne ha goduto durante la prima replica del 23 agosto e che continuerà a fruirne fino a giorno 28 agosto. Il giardino, insieme alla sala Giuseppe Di Martino, fa parte del Centro Teatrale Fabbricateatro, sito a Catania in via Caronda, 82, che è ormai dal 2016 la sede stabile dell’associazione culturale omonima.

Si tratta di una rilettura in chiave drammaturgica di “Adolescenti”, racconto tratto dell’opera letteraria “Atti impuri”, la quale raccoglie una serie di racconti brevi giovanili inediti – in gran parte autobiografici – di Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo italiano fra i più importanti del novecento. Lo spettacolo è un omaggio allo scrittore, in onore al centenario dalla sua nascita e dei trent’anni dalla nascita dell’associazione culturale I Siciliani – Fabbricateatro.

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Fabbricateatro, il cui attuale presidente è il professore di lettere ed esperto attore Daniele Scalia Girgenti, membro storico di questa realtà associativa insieme al regista e direttore artistico Elio Gimbo, produce da trent’anni spettacoli teatrali sia nella città di Catania che oltre i suoi confini, rinnovando le pratiche del teatro contemporaneo catanese e sperimentando nuove tecniche anche grazie a rapporti di intensa collaborazione con altre realtà teatrali rilevanti quali la Marionettistica Fratelli Napoli, il Living Theatre di New York, l’Ordin Teatret di Eugenio Barba, il Teatro Potlach di Fara in Sabina, il Teatro Ridotto, di Bologna. Il suo modus operandi segue il modello storico del teatro dei gruppi che si è imposto a partire dagli anni ‘50 ed è ancora diffuso fra le associazioni culturali che si occupano di teatro. Tale modello è diverso da quello della compagnia teatrale in senso stretto, la quale ha come unico scopo l’allestimento e la produzione di uno spettacolo, spesse volte tende a sciogliersi dopo la fine dello stesso, e non sempre è costituita da attori protagonisti. Il teatro dei gruppi, invece, come afferma Gimbo, prevede la collaborazione di un cast stabile di artisti navigati che operano in sinergia e con la compattezza di una squadra, curando l’intero processo di ideazione di uno spettacolo, a partire dall’individuazione di professionisti, allargando in tal senso il proprio orizzonte nel corso degli anni, passando poi per la formazione continua, che affina il talento degli artisti membri, per la scrittura dello spettacolo, la preparazione scenica, e tutti gli step che conducono al traguardo della messa in scena finale. Uno degli obbiettivi di Fabbricateatro è senza dubbio quello di celebrare, riproponendoli sempre in chiave critica, i più grandi autori della letteratura siciliana e italiana, ma anche d’oltralpe, da Martoglio, a Pirandello, a Kafka, Brecht, Moliere e tanti altri.

Ed è proprio seguendo sulla scia di questa mission che Elio Gimbo ha scritto Atto Impuro, occupandosi della regia e produzione dello spettacolo.

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«Atti impuri è un romanzo breve che racconta contemporaneamente le diverse relazioni fisiche che Pasolini ha avuto con degli adolescenti nel periodo della prima giovinezza, durante lo sfollamento da Casarsa, quando lui conobbe un mondo contadino, detentore di una cultura diametralmente opposta al retaggio della borghesia, classe sociale alla quale apparteneva lo scrittore. Noi abbiamo scelto uno di questi racconti, oserei dire il più importante, Adolescenti, lo abbiamo ripulito come un diamante grezzo dal contorno letterario, da tutti gli elementi che appartengono alle tecniche della scrittura narrativa e agli usi linguistici della letteratura, e lo abbiamo trasformato in un atto unico che ha come scopo quello di creare un nesso teatrale e poetico fra il pubblico e l’aspetto più controverso di Pasolini: una sorta di adofilìa, il suo amore e il suo desiderio sessuale nei confronti degli adolescenti, che lui visse con molta tribolazione».

Queste le parole del regista Elio Gimbo, che ha voluto, in occasione del centenario della nascita dello scrittore, ragionare e proporre una riflessione sull’analisi ricca e poetica che lo scrittore ci ha lasciato di questo suo sentimento, e che ha anche tentato di scostarsi, a differenza che in altri spettacoli realizzati in passato, dalla luce tragica che investe inevitabilmente tutta la vita di Pasolini e, in particolare la vicenda della sua morte.

Il rapporto amoroso di un Pasolini ancora giovane con Nino, uno dei suoi studenti da poco approdato all’età adolescenziale, ci viene raccontato , nella sua trasposizione teatrale, da due attrici, Sabrina Tellico, anch’essa colonna portante di Fabbricateatro, e Maria Grazia Cavallaro, le quali hanno interpretato rispettivamente il Pasolini pubblico e borghese, in termini pirandelliani la maschera di Pasolini, e il Pasolini carnale, quello che consumava le sue notti infernali nei quartieri proletari di tutto il mondo. Si è quindi utilizzato il tema del doppio, come aveva fatto lo stesso poeta nella sua opera incompiuta “Petrolio”, uscita postuma nel 1992, proprio per evocare la condizione esistenziale difficile e tormentata del poeta, mettendone in luce però la poesia, la bellezza struggente, l’animo passionale e appassionato di Pasolini, che si sentiva dilaniato dalla sua doppia vita e viveva il conflitto fra il suo io più autentico e la sua maschera, l’unica parte del suo sé ad essere accettata in una società che non era e non è ancora pronta ad accettare ogni orientamento sessuale. Con la tecnica dello sdoppiamento del personaggio e la scelta di due interpreti donne si è cercato di operare un distanziamento inteso in termini brechtiani, grazie al quale l’attore non crede al personaggio che interpreta, ma lo disegna da fuori così com’è, in modo da creare un legame diretto fra gli spettatori e il poeta, rievocato in tutta la sua complessità, abbattendo la barriera del pregiudizio. In fine è stato utilizzato un fantoccio dall’aria innocente che rappresentava Nino, il ragazzino soldato, diventato poi l’amante di Pasolini e oggetto di tutti i suoi desideri amorosi e sessuali, sottolineando l’equivalenza pasoliniana tra corpo e opera, «poiché non vi è sentimento umano che egli non abbia sperimentato con il proprio corpo ed in prima persona, con tutto il carico straziante di un omosessuale, per lo più ebefilo», afferma ancora Gimbo.

Le due attrici non soltanto hanno rappresentato le sfaccettature di Pasolini ma quella capacità di soffrire che nessuno meglio di una donna è capace di esprimere con ogni tipo di linguaggio, artistico o meno. Oltre alle protagoniste e a Elio Gimbo, lo spettacolo è stato curato da Daniele Scalia (amministratore esecutivo), Bernardo Perrone (scena), Simone Raimondo (luci), Maria Stella Anile (assistente).

Il compito dell’arte e della letteratura, oggi ancora più che in passato, è quello di scardinare il pensiero comune, con i suoi stereotipi e le sue etichette, di abbattere i muri e creare connessioni, in un mondo sempre più dicotomico e manicheista. Dove non siamo ancora pronti ad accettare né tantomeno a comprendere tutte le sfumature di un essere umano, e quindi anche quelle contraddizioni che appartengono in fondo a tutti noi poiché vanno oltre gli orientamenti sessuali e oltre ogni diversità. Non siamo capaci di accogliere la nostra complessità a diversità, né quella degli altri, di connetterci ad essa, e di connetterci gli uni agli altri.