CON VINCENZO RABITO RACCONTARSI È RACCONTARE LA STORIA

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Presentato il libro che racconta la vicenda di uno dei “ragazzi del ‘99”

Giovedì 29 settembre, a Catania, presso la sala Giuseppe Di Martino, è stato presentato “Il libro della vita passata”, di Vincenzo Rabito.

L’evento è stato curato dai Centri culturali Gruppo Iarba, Fabbricateatro e Le stelle in tasca. A dialogare, infatti, con Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo Rabito e curatore dell’opera, sono stati i rispettivi presidenti delle associazioni culturali: Daniele Scalia Girgenti, insegnante, attore, presidente e membro storico di Fabbricateatro, Nino Romeo, drammaturgo regista e attore, direttore della compagnia teatrale Gruppo Iarba, e Orazio Maria Valastro, sociologo, mitanalista, ricercatore, fondatore e presidente dell’associazione Le stelle in tasca, organizzazione di volontariato dove dirige i suoi Ateliers Dell’Immaginario Autobiografico. È intervenuta, inoltre, l’attrice professionista Graziana Maniscalco, direttrice del Centro Teatrale Siciliano e pilastro del Gruppo Iarba insieme al marito Nino Romeo, interpretando alcuni brani tratti dall’opera di Rabito.

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Vincenzo Rabito è nato a Chiaramonte Gulfi nel 1899. È stato bracciante da bambino, a diciotto anni è partito per il Piave, ha fatto la guerra d’Africa e la Seconda guerra mondiale. È stato minatore in Germania, poi è tornato in Sicilia, dove si è sposato e ha allevato tre figli grazie ai soldi guadagnati con lo stipendio da cantoniere di una strada provinciale.

È morto nel 1981. Come afferma il suo stesso figlio, Giovanni, Vincenzo non è mai andato a scuola ma era un autodidatta e, così come ha imparato a leggere e a scrivere da solo, ha anche imparato «il mestiere di vivere e l’arte di lavorare duro per vivere meglio».

Queste le parole di Giovanni Rabito. Solo in tarda età Vincenzo Rabito comincia a battere i tasti della macchina da scrivere del figlio, una Olivetti Lettera 32, e scrive le sue memorie. Questo dattiloscritto non è, però, soltanto la sua storia, bensì la storia di mezzo secolo di Italia.

Vincenzo Rabito ha scritto di sé, della sua gente, il popolo, e del suo tempo. La storia di Rabito somiglia a quelli di molti “ragazzi del ‘99” che, costretti ad arruolarsi per non essere accusati del reato di diserzione, furono protagonisti di tre battaglie decisive, che hanno capovolto le sorti del conflitto: tutte e tre battaglie vinte. Le soprannominate “battaglia d’arresto” a cavallo fra il Trentino e il Veneto il 10 novembre 1917. Quella del “solstizio” a metà giugno del 1918. E la “battaglia di Vittorio Veneto” fra il 24 ottobre e il 3 novembre 1918. Lui la guerra e la società del suo tempo le ha vissute, le ha respirate, e dopo la pensione ha deciso di scriverle, litigando con la tastiera e con quell’Italia dura che lo ha visto diventare un uomo. Ha scritto per tre anni, dal 1967 al 1970. Poi quando il figlio, Giovanni Rabito, prende il manoscritto per tentare di trovare un modo per pubblicarlo, Vincenzo riprende la narrazione, che interromperà solo tre giorni prima di morire, nel 1981, riempiendo altre 1400 pagine. Nel 1999 Giovanni Rabito consegna il manoscritto all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, che custodisce diari e testi di scrittori non professionisti. L’anno seguente l’opera vince il premio annuale dell’Archivio, il Premio Pieve. Così nasce un’avventura letteraria che diventerà un autentico caso editoriale. Il manoscritto, inizialmente presentato con il titolo “Fontanazza”, viene poi pubblicato nel 2007 dalla casa editrice Einaudi con il titolo Terra Matta, una versione un po’ più esigua del manoscritto originale, ma altrettanto densa. Quest’opera ha ispirato diversi adattamenti teatrali che hanno girato il mondo dal 2014 al 2020, grazie all’attore Stefano Panzeri. Nel 2012 è stato inoltre realizzato il documentario Terramatta – Il Novecento italiano di Vincenzo Rabito analfabeta siciliano, a cura della storica, produttrice e regista cinematografica Chiara Ottaviano e della regista Costanza Quatriglio. A trasformare il dattiloscritto in una vera e propria opera letteraria è stato Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo.

Giovanni Rabito, nasce nel 1949 a Chiaramonte Gulfi in Sicilia, e risiede attualmente a Sydney in Australia. Nel 1967 inizia i suoi studi universitari di Giurisprudenza a Messina, trasferendosi in seguito a Bologna nel 1968. In quegli anni prende parte al movimento letterario italiano della Neoavanguardia, il Gruppo 63 costituitosi a Palermo nel 1963. Scrive poesie pubblicate in riviste letterarie come Tèchne, fondata nel 1969 da Eugenio Miccini come laboratorio dello sperimentalismo verbo-visivo legato all’esperienza del Gruppo 70, e Marcatré, rivista di arte contemporanea, letteratura, architettura e musica, fondata e diretta da Eugenio Battisti nel 1963.

Il romanzo della vita passata non è una sorta di sequel di “Terra Matta”, ma un secondo dattiloscritto autobiografico di Vincenzo Rabito, una nuova riscrittura inedita della sua vita, anch’essa curata da Giovanni che, dopo la morte del padre, ha salvato dal dimenticatoio altri diamanti grezzi da trasformare in pagine di un romanzo, comunque interamente autobiografico ma stavolta intriso di uno stile più libero e personale, intimo e familiare. Anche nel suo secondo libro Rabito dona ai lettori un affresco verista e impeccabile dell’Italia e della sua amata Sicilia, con l’abilità e lo spirito salace di un vero cantastorie. Ma l’aspetto più saliente di quest’opera, come della precedente, consiste nell’uso funambolico che l’autore fa degli strumenti linguistici. Rabito ad oggi è ancora ricordato come “l’analfabeta che diventò scrittore”. Nelle sue opere mischia l’italiano con il dialetto siciliano diffuso negli anni della sua giovinezza, con le bestemmie dei soldati, crea dei veri e propri neologismi e non usa segni di interpunzione, tranne un insistente punto e virgola a separare ogni parola dalla successiva. Una lingua sgrammaticata ma seducente, definita poi da alcuni critici “rabitese”.

Ed è stata proprio questa peculiarità che l’attrice Graziana Maniscalco ha saputo mettere in luce durante la lettura dei brani scelti, con la sua impareggiabile maestria, il suo temperamento e la sua sensibilità. Perché il compito di un’attrice che si approccia a un’opera letteraria è quello di carpire l’anima dello scrittore e della storia che ci lascia in eredità, e di restituirla al pubblico grazie alla sua arte. E per uno scrittore la più importante missione da perseguire, ancora prima che raccontare delle storie e calarle in un tempo storico che non può perdersi nell’oblio, è quello di giocare con la parola, come un equilibrista o un mago, di trasformarla e di scoprire le infinite possibilità espressive che si celano in essa, gli infiniti mondi, non soltanto geografici, che essa può rivelarci. Offrendo così hai lettori storie nuove, ma soprattutto nuovi modi di raccontare e raccontarsi.