MORTO MAGANOV, N°2 DI LUKOIL

maganov collage

Una finestra aperta, un corpo che vola giù. La morte del vicepresidente del colosso petrolifero pone molti interrogativi, anche in Sicilia

Uno scenario che in Italia ha dei raccapriccianti precedenti, mai chiariti. Giuseppe Pinelli, David Rossi. Ravil Maganov, 67 anni, vicepresidente di Lukoil è morto così: volando giù da una finestra, sebbene l’Interfax, agenzia stampa russa, ancora non confermi la notizia ma parla della caduta dalla finestra, la Sputnik, altra agenzia russa, non menzioni affatto il decesso di Maganov, mentre la Tass accenna a un possibile suicidio, citando una precedente assunzione di antidepressivi. La compagnia Lukoil, celebrando la figura di Maganov ed esprimendo il cordoglio alla famiglia, riferisce che è morto «dopo una grave malattia».

Era ricoverato in un ospedale per non meglio definiti “disturbi cardiaci” il cofondatore della maggiore azienda petrolifera russa, nata nel 1993. Il fratello Nail Maganov è a capo della Tatneft, altro pilastro, seppur più piccola della Lukoil, del settore energetico russo.

Sucidio? Certo, di trasparenza dall’apparato russo, e di conseguenza dai media di quel Paese, non ce ne si può aspettare. Parlando di dati reali, Maganov è l’ottavo oligarca russo a morire nel 2022, l’anno dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, in circostanze non chiare. Prima di lui, Alexander Subbotin, ex manager proprio della Lukoil, Sergey Protosenya, dell’altro colosso energetico russo Novatek, Vladislav Avaev, già ufficiale del Cremlino ed ex vicepresidente di Gazprombank, Vasily Melnikov, miliardario nel settore medicale, Mikhail Watford, oligarca di origine ucraina, Alexander Tyulyakov, anch’egli manager Lukoil, Leonid Shulman, top manager di Gazprom.

Gazprom Neft Lukoil Tatneft

Gli oligarchi: quella generazione che, all’indomani della dissoluzione dell’URSS, il cui ultimo leader, Michail Gorbachev è mancato ieri a 92 anni, si appropriarono dei principali asset russi svenduti dalla nuova leadership del Cremlino, in mano a Boris Eltsin, per fare cassa al fine di fronteggiare il disastro economico che si palesò con la fine dell’Unione Sovietica. Una generazione di uomini che si è enormemente arricchita e che ha cercato di far valere il proprio peso sin da subito nei confronti dell’allora leader Eltsin.

Eltsin che cederà successivamente il passo, nel passaggio di secolo, al suo erede designato Vladimir Putin. Un personaggio, Putin, già agente del KGB attivo a Berlino Est, che ha progressivamente costruito, sia nell’immagine che nelle dinamiche di eliminazione dei possibili oppositori, una autocrazia rifondando l’economia russa proprio sulle ingenti riserve di risorse fossili, in gran parte presenti in Siberia e per questo sottoutilizzate in epoca sovietica a vantaggio dell’energia atomica.

Una posizione, quella russa, sempre più dominante nello scacchiere economico mondiale proprio per tali riserve, utilizzata da Putin per creare una posizione di vantaggio, e quindi di sostanziale inerzia, rispetto tanto ai partners quanto ai “competitors” sullo scenario mondiale. Lo testimonia l’attuale situazione di stallo in merito al conflitto in Ucraina, in merito al quale, grazie anche al “deterrente atomico” in chiave bellica (ancora valido e forte dopo la dissoluzione dell’URSS), le potenze occidentali stanno opponendo solo timide e controverse sanzioni. Il gas ed il petrolio russo sono difficilmente rinunciabili, e Putin lo sa da sempre.

Sanzioni che hanno messo in ombra le attività di Lukoil, che in Sicilia ha molto investito, costruendo svariate stazioni di servizio e rilevandone di già esistenti (note ed apprezzate per i prezzi sensibilmente inferiori alla concorrenza), e che soprattutto è controllante – tramite la svizzera Litasco sa – dello stabilimento Isab-Lukoil di Priolo, a rischio chiusura a causa dell’embargo sul petrolio russo e costretta ad operare con greggio proveniente da altri paesi. La morte di Maganov pone ulteriori incertezze sullo stabilimento e su tutte le attività Lukoil in Sicilia.

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Vladimir Putin e Ravil Maganov

E getta ulteriori ombre e dubbi sulle troppe morti di oligarchi russi. Di certo, da oggi Vladimir Putin ha un altro potenziale avversario in meno.