AL CATANIA OFF FRINGE FESTIVAL UNO SPETTACOLO INNOVATIVO SUL CORAGGIO DI PERDERSI E RITROVARSI

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Al palazzo della Cultura di Catania è andato in scena “Riportami là dove mi sono perso”, ideato e messo in scena dalle “Officine Gorilla” di Torino

Lo spettacolo è stato selezionato per il “Catania Off Fringe Festival”, che quest’anno è alla sua prima edizione ed è parte integrante del programma di “Palcoscenico Catania. La Bellezza senza confini”. È promosso dal Comune di Catania, assessorato alla Cultura, con il sostegno del MIC, patrocinato dalla Regione Siciliana, assessorato al Turismo e Spettacolo, dall’Università di Catania e dall’Accademia di Belle Arti di Catania. È nato grazie alla volontà di Francesca Vitale e Renato Lombardo, che ne curano la direzione artistica ed organizzativa. Un contributo importante è stato dato dalla dottoressa Gabriella Foti, responsabile della comunicazione stampa e promozione per il Catania Off Fringe Festival, e responsabile della comunicazione, per la città di Catania, presso Palco Off, uno dei partners nazionali del Festival.

Riportami là dove mi sono perso si inserisce nella produzione di testi e spettacoli che le Officine Gorilla portano avanti dal 2016, diventando quasi un seguito, ma solo nei temi di fondo, del precedente lavoro “Love Date – not a love story”. È stato finalista all’Arezzo Crowd Festival 2019, selezionato per il Nolo Fringe Festival 2019 (Milano) e selezionato al Festival Fabbricanti di Mondi 2019 (Milano).

La regia e la drammaturgia sono affidate a Luca Zilovich; in scena Michele Puleio e Maria Rita Lo Destro; le voci off sono di Giulia Trivero e Paolo Arlenghi e il Disegno luci di Enzo Ventriglia.

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Emma e Theo vivono insieme e sono legati l’uno all’altra da un amore sincero e intenso.

Un sentimento che li spinge a sfidare quelle difficoltà esistenziali che li devastano come singoli individui, in primo luogo, ma che inevitabilmente influenzano anche la loro vita di coppia. Perché Emma e Theo sono i trentenni della “Generazione Y”, quelli che ad oggi, anche quando escono dal lungo tunnel della disoccupazione, stentano a ottenere dai loro datori di lavoro un contratto a tempo indeterminato. Un’opportunità che possa anche solo farli immaginare di vivere senza l’ossessione di essere sfrattati dall’abitazione dove pagano affitti sempre più salati, senza la paura di non sbarcare il lunario a fine mese. Considerano un miraggio sposarsi e mettere su famiglia, ma anche trasformare le loro passioni in mestieri redditizi. Theo ed Emma sono devastati da questa situazione e frustrati dal continuo paragone con i pochi amici che sembrano aver raggiunto gli obbiettivi che la generazione precedente alla loro definiva come validi e degni, tracciando una linea di demarcazione netta tra il fallimento e il successo. A questi malesseri si aggiunge la paura di proiettare a loro volta le proprie speranze mortificate e aspettative nelle generazioni future, anziché spezzare il cerchio. Tenteranno di essere felici e di proteggere il loro amore dall’insoddisfazione generale, e in questa lotta rischieranno di perdere tutto, anche sé stessi. Si troveranno, così, di fronte a scelte importanti da compiere.

Ma il viaggio per sbrogliare il bandolo di quella matassa che rappresenta la nostra vita e la nostra stessa identità, possiamo intraprenderlo insieme a chi ci sta a fianco? O l’amore non basta per scoprire e ri-scoprire chi siamo e chi vogliamo diventare? Queste e tante altre le riflessioni che gli attori delle Officine Gorilla riescono a suscitare negli spettatori attraverso uno scambio di battute fra i personaggi che, senza tralasciare la sagacia ironia, assume delle temperature molto elevate e diventa sempre più tagliente, quanto basta per smascherare le contraddizioni, i limiti e le ombre di entrambi i personaggi e soprattutto quelli di una realtà immobile e al contempo paralizzante per i suoi membri, che in fondo sono fogli del loro tempo.

Il “Catania Off Fringe Festival” ha ospitato 54 spettacoli, e molti artisti ci hanno raccontato vicende che toccano temi di forte impatto sociale, come ad esempio il bullismo e l’immigrazione, e l’hanno fatto con grande sensibilità e maestria. Ma la cifra innovativa di questo spettacolo è stata quella di realizzare un compito non meno arduo: scuotere gli spettatori e permettere loro di riconoscersi nei personaggi non solo come singoli, ma anche come ingranaggi di quello stesso sistema sociale di cui ci parlano le storie sul bullismo e sull’immigrazione, senza necessariamente mettere l’accento su questi temi scottanti, ma partendo dagli scenari di quella vita domestica che spesso non attirano la nostra attenzione. Chi vuole soffermarsi a riflettere su ciò che accade nella nostra impolverata routine? Ma è proprio e soltanto dentro questo “banale” spazio che abbiamo l’occasione di fermarci a guardare a noi stessi e alla nostra vita. Per trovarci un senso, conoscerci o ri-conoscerci, magari nascere di nuovo. Trovarci. Anche correndo il rischio di perderci.